Prime Pagine #2 - L'ultima vittima di Tess Gerritsen

Prime Pagine - torniamo con la rubrica "prime pagine" con un thriller molto interessante. Di seguito potete leggere le pagine iniziali e farvi un'idea se potrebbe piacervi la storia, oppure se lo avete letto già fateci sapere se vi è piaciuto o meno.

Titolo: L'ultima vittima  
Autore: Tess Gerritsen

Prezzo:  16,40€
Data di uscita:  30 maggio 2013
Editore: Longanesi
Pagine:  327
Isbn:  978-8830436770

Trama:  A una prima occhiata sembra un college come tanti, forse solo un po' più esclusivo e curato degli altri. Immerso negli splendidi boschi del Maine, ha un immenso parco, lunghi corridoi, aule luminose, un attrezzato laboratorio di scienze e uno di informatica. Ma a fare la differenza, a Evensong, sono gli alunni. Qui, infatti, vengono accolti ragazzi che hanno subito gravi traumi, che devono riaprire gli occhi e tornare a vivere, perché la morte li ha sfiorati troppo da vicino. Il posto giusto per Teddy Clock: ha solo quattordici anni, ma è già sopravvissuto a due spaventosi massacri. Due anni fa la sua famiglia d'origine è stata sterminata; da poco una misteriosa e spietata mano omicida gli ha strappato anche i genitori adottivi... Solo a Evensong Teddy potrà ricevere l'aiuto di cui ha un disperato bisogno e riuscire a trovare le parole per raccontare al detective Jane Rizzoli quello che ha visto. Ma per Teddy non sembra esistere un posto sicuro e la morte varca anche l'alto cancello del college. Per Jane e la sua amica Maura Isles, l'anatomopatologa, è l'inizio di un'indagine complessa, a caccia di un assassino che sembra mosso solo da un istinto sadico e crudele e che invece ha un piano preciso ed efferato. Un piano che va compreso e sventato prima che sia troppo tardi... 




Prime Pagine - L'ultima vittima di Tess Gerritsen
              Capitolo 1
«Lo avevamo chiamato Icaro.
Ovviamente non era il suo vero nome. Avendo trascorso l'infanzia in una fattoria, ho imparato che non devi mai dare un nome a un animale destinato al macello. Parli del maiale numero uno o del numero due e non lo guardi negli occhi per evitare di scorgervi qualsiasi parvenza di consapevolezza, di personalità, d'affetto. Quando una bestia si fida di te, ti serve molta più determinazione per tagliarle la gola.
Con Icaro non c'erano stati problemi del genere: non si fidava di noi né aveva la minima idea di chi fossimo. Noi invece lo conoscevamo bene. Sapevamo che viveva nella periferia di Roma in una villa in collina cinta da un alto muro, che dalla moglie, Lucia, aveva avuto due figli di otto e dieci anni, che malgrado l'incalcolabile ricchezza amava i cibi semplici e aveva un ristorante preferito, La Nonna, dove cenava quasi ogni giovedì.
E sapevamo che era un mostro. Perciò quell'estate eravamo andati in Italia.
Dare la caccia ai mostri non è un'impresa per stomaci deboli né per quanti si sentono vincolati da futili convenzioni quali la legge o i confini nazionali. I mostri, in fondo, non rispettano le regole, quindi non possiamo farlo neanche noi. Non se ci prefiggiamo di annientarli.
Quando tuttavia abbandoni i codici del comportamento civile, corri il rischio di diventare tu stesso un mostro e proprio questo accadde quell'estate a Roma. Allora non lo capii. Nessuno di noi lo fece.
Finché non fu troppo tardi.

1
La sera in cui sarebbe dovuta morire, la tredicenne Claire Ward era in piedi sul davanzale della finestra della sua camera al secondo piano a Ithaca, incerta se saltare. Sei metri più in basso c'erano alcune forsizie trascurate, ormai oltre la fase di fioritura primaverile. Avrebbero attutito la caduta, ma con molta probabilità si sarebbe rotta qualche osso. Lanciò un'occhiata all'acero di fronte osservando il ramo robusto che si estendeva a poca distanza. Non aveva mai tentato di saltare perché non vi era mai stata costretta. Fino a quella sera era riuscita a sgattaiolare fuori dalla porta principale. Ma le sere delle fughe facili erano finite perché Bob Gran Noia l'aveva scoperta. D'ora in poi, signorina, te ne starai a casa! Basta girare di notte per la città come una gatta randagia.
Se mi spezzo il collo, pensò, è tutta colpa sua.
Sì, quel ramo dell'acero era decisamente alla sua portata. Doveva andare in certi posti, vedere certe persone: non poteva restare lì all'infinito a valutare le probabilità.
Si accovacciò preparandosi a spiccare il balzo, ma si bloccò all'improvviso quando i fari di un'auto spuntarono da dietro l'angolo. Il SUV passò furtivo come uno squalo nero sotto la finestra e risalì lento la strada silenziosa, quasi cercasse un'abitazione in particolare. Non la nostra, si disse Claire: non venivano mai persone interessanti a casa dei suoi genitori adottivi, Bob Gran Noia e la sua degna moglie Barbara Buckley. Persino i loro nomi erano noiosi, per non parlare delle conversazioni a cena. Com'è andata la tua giornata, caro? E la tua? Il tempo si sta mettendo al bello, no? Mi puoi passare le patate?
Nel loro mondo colto e altolocato Claire era un'aliena, la ragazzina selvaggia che non erano mai riusciti a capire nonostante gli sforzi. E ne avevano fatti tanti, davvero. Avrebbe dovuto vivere con una coppia di artisti, attori o musicisti, con persone che stavano alzate tutta la notte e sapevano divertirsi. Con gente della sua razza. Il SUV nero era scomparso. Ora o mai più.
Fece un respiro e saltò. Sentì l'aria serale sibilarle tra i capelli mentre si librava nel buio. Atterrò aggraziata come un gatto e il ramo vibrò sotto il suo peso. Era stato un gioco da ragazzi. Si calò rapida su un ramo inferiore e stava per balzare giù quando il SUV nero tornò. Passò di nuovo furtivo con il motore che ronzava sommesso. Claire lo osservò scomparire dietro l'angolo e poi si gettò sull'erba bagnata.
Guardò la casa alle sue spalle aspettandosi che Bob uscisse gridando: Torna subito dentro, signorina! Invece il portico restò buio.
Ora la serata poteva iniziare.
Si chiuse la cerniera della felpa con il cappuccio e si diresse verso il parco dove, per così dire, c'era movimento. A quell'ora tarda la strada era tranquilla e non c'erano molte luci alle finestre. Era un quartiere di villette da cartolina con finiture elaborate, una strada abitata da professori di college e mamme vegane convertite alla cucina senza glutine, tutti amanti dei gruppi di lettura. Ventisei chilometri quadrati circondati dalla realtà, così Bob definiva con affetto la città. Lui e Barbara vi appartenevano.
Claire invece non sapeva a cosa appartenesse.
Attraversò a grandi passi la strada, smuovendo le foglie secche con gli stivali graffiati. Un isolato più in là tre adolescenti, due ragazzi e una ragazza, stavano fumando una sigaretta alla luce di un lampione.
«Ciao», gridò loro. Il ragazzo più alto la salutò con la mano. «Ciao, Claire. Avevo sentito che ti avevano di nuovo proibito di uscire.»
«Per circa trenta secondi.» Claire prese la sigaretta che le aveva offerto, fece un tiro e buttò fuori il fumo con un sospiro di gioia. «Allora che programmi ci sono stasera? Che si fa?»
«Ho sentito che c'è una festa su, alle cascate, però dobbiamo trovare un passaggio.» «E tua sorella? Potrebbe portarci lei.»
«No, papà le ha preso le chiavi dell'auto. Restiamo qui e vediamo chi altro arriva.» Il ragazzo tacque guardando accigliato al di sopra della spalla di Claire. «Uh–oh. Guarda un po' chi c'è.»
Lei si voltò e gemette quando una Saab blu scuro accostò al marciapiede al suo fianco. Il finestrino del passeggero si abbassò. «Claire, sali in macchina», esclamò Barbara Buckley.
«Volevo solo stare con i miei amici.»
«È quasi mezzanotte e domani è un giorno di scuola.»
«Non sto facendo niente di illegale.»
«Sali subito in macchina, signorina!» ordinò Bob dal posto di guida.
«Voi non siete i miei genitori!»
«Ma siamo responsabili nei tuoi confronti. È nostro dovere educarti bene ed è questo che cerchiamo di fare. Se non vieni a casa con noi ora, ci saranno… ci saranno be', delle conseguenze!»
Sì, tremo dalla paura. Stava quasi per scoppiare a ridere quando notò che Barbara indossava un accappatoio e Bob aveva i capelli tutti scompigliati. Erano usciti tanto in fretta per ritrovarla che non si erano nemmeno vestiti. Sembravano entrambi più vecchi e stanchi, una coppia scarmigliata di mezza età che era stata buttata giù dal letto e che per colpa sua si sarebbe svegliata sfinita il mattino dopo.
Barbara sospirò esausta. «So che non siamo i tuoi genitori, Claire. So che detesti vivere con noi ma stiamo tentando di fare del nostro meglio, quindi per favore sali in macchina. Qui fuori non sei al sicuro.»
Claire lanciò un'occhiata esasperata agli amici, poi salì sul sedile posteriore e chiuse la portiera. «Okay?» fece. «Contenti?»
Bob si voltò a guardarla. «Il punto non siamo noi. Sei tu. Abbiamo giurato ai tuoi genitori che ci saremmo sempre presi cura di te. Se Isabel fosse viva, le spezzerebbe il cuore vedere come sei ora: ingestibile, sempre arrabbiata. Claire, ti è stata concessa una seconda possibilità ed è un dono. Ti prego, non gettarla via.» Sospirò e aggiunse: «Ora mettiti la cintura, okay?»
Se si fosse infuriato, se avesse urlato, non si sarebbe scomposta, ma lo sguardo che le rivolse era tanto afflitto che provò rimorso perché era una rompiscatole, perché ripagava la loro bontà con la ribellione. Non era colpa dei Buckley se i suoi erano morti, se la sua vita era un casino.
Quando si avviarono, si raggomitolò sul sedile, pentita ma troppo orgogliosa per scusarsi. Domani sarò più gentile, pensò. Aiuterò Barbara ad apparecchiare la tavola, forse laverò anche l'auto di Bob perché accidenti se ne ha bisogno.
«Bob», disse Barbara. «Che fa quella macchina laggiù?»
Un motore rombò e due fari si lanciarono contro di loro.
«Bob!» strillò Barbara.
Claire, scagliata in avanti dall'urto, fu trattenuta dalla cintura mentre la notte veniva squarciata da rumori terribili: il frantumarsi dei vetri, l'accartocciarsi delle lamiere.
E il pianto, il gemito di qualcuno. Aprì gli occhi, vide che il mondo si era capovolto e capì che il gemito era il suo. «Barbara?» mormorò. ... »







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